Come tutte le malattie autoimmuni, il lichen è una patologia ad andamento lento ma cronico e progressivo, con periodi di ri-acutizzazione. Nel 5% dei casi può evolvere verso patologie tumorali della vulva: ecco perché i controlli periodici sono importanti.
Il lichen scleroatrofico richiede anzitutto una diagnosi accurata: che si basa su storia clinica ed esame obiettivo ginecologico, eventualmente completati da vulvoscopia e biopsia, in anestesia locale, effettuata con applicazione di una semplice pomata anestetica. La biopsia è indicata in caso di lesioni cutanee bianche (“ipercheratosi”) o di lesioni ulcerate che possono necessitare di valutazione istologica. Il ginecologo curante ne valuta l’opportunità a seconda del tipo e della gravità obiettiva del lichen.
La terapia deve essere quindi finalizzata a:
- ridurre i sintomi in fase acuta;
- rallentare la progressione della malattia, con la distruzione tissutale associata che interessa a tutto spessore le diverse componenti della vulva;
- ricostruire tessuti sani, con la giusta “micro-architettura” cellulare: ogni tessuto sano è un capolavoro di architettura biologica cellulare!
La terapia del lichen sclerosus vulvare richiede quindi l’applicazione:
- nella fase acuta, caratterizzata da prurito vulvare, di una pomata a base di cortisone (clobetasolo) per 10-14 giorni; quando il sintomo “prurito” è scomparso, può essere utile una terapia di mantenimento, applicando il clobetasolo una-due volte la settimana, nelle sole aree in cui aveva avvertito il prurito. La funzione del cortisone locale è antinfiammatoria: serve cioè a ridurre il micro-incendio biochimico che sottende le alterazioni tissutali e nervose che poi causano il prurito. Di fatto, in tutte le patologie infiammatorie acute, il cortisone è il “pompiere” che riduce l’incendio biochimico tissutale;
- nella fase di mantenimento, durante i periodi di silenzio sintomatologico, sono utili le pomate a base di vitamina E e di testosterone di estrazione vegetale. L’obiettivo del testosterone è “ricostruttivo”. Serve infatti a stimolare i fibroblasti, che sono i nostri operai ricostruttori, a produrre collagene, elastina e mucopolisaccaridi, al fine di rinforzare il tessuto vulvare restituendogli maggiore turgore ed elasticità. Il testosterone agisce anche sui recettori della cute vulvare, dei vasi specializzati da cui dipende l’eccitazione genitale (“corpi cavernosi”) e delle fibre nervose che veicolano le sensazioni di piacere, migliorandone lo stato nutritivo, il benessere e la funzione.
Nel caso in cui la sintomatologia pruriginosa non migliori e/o le lesioni cutanee non regrediscano con la terapia correttamente impostata, è utile effettuare (o ri-effettuare) una vulvoscopia con eventuale prelievo bioptico.
Il ginecologo curante la consiglierà nel modo più adatto al suo caso. Un cordialissimo saluto.