Introduzione
La percezione del dolore, acuto e cronico, è un evento complesso, che coinvolge fattori biologici, psichici e ambientali. Anche in quest’ambito, le aspettative positive o negative hanno un ruolo formidabile nel modulare la percezione ultima dell’esperienza dolorosa (Field e Swarm 2008). Esse sono parte integrante di due effetti ben noti in medicina, l’effetto “placebo” e, all’opposto, l’effetto “nocebo”.
Lungi dall’essere espressione di pura “suggestione psichica”, questi effetti hanno una solidissima base neurobiologica, che merita di essere conosciuta, per potenziare l’effetto favorevole non solo dei nostri farmaci ma anche dei nostri comportamenti, specialmente, ma non solo, nella terapia del dolore, e limitare invece gli effetti negativi (Walach e Jonas 2004).
Che cos’è un placebo? L’effetto “placebo” (dal latino placere, letteralmente “io piacerò”) indica il ruolo favorevole delle aspettative positive, nei confronti di un farmaco ma anche di un comportamento. Per definizione, il placebo è una sostanza inerte, per esempio una compressa che non contiene principi attivi, priva quindi di attività biologica specifica, ma anche una qualsiasi altra terapia o provvedimento non farmacologico (un consiglio, un messaggio, un incoraggiamento), che, pur privo di efficacia terapeutica specifica, venga utilizzato per provocare un effetto positivo su un sintomo o una malattia.
E che cos’è l’effetto “nocebo”? Il termine deriva dal latino nocere (letteralmente “io nuocerò”), e indica le situazioni in cui l’aspettativa negativa può essere così potente da condizionare anche la risposta biologica. Per esempio, in caso di effetto nocebo l’assunzione di una compressa che non contiene principi attivi specifici, ma solo una sostanza inerte, può dar luogo a effetti collaterali, determinati dalla sola aspettativa negativa.
Effetto placebo e ricerca scientifica
L’efficacia di un farmaco si misura proprio dalla differenza di efficacia terapeutica tra gruppo trattato e gruppo placebo, in genere a tre e sei mesi dall’inizio del trattamento.
Aspettative positive ed efficacia terapeutica
a) aumenta la serotonina, che regola il tono dell’umore: e sappiamo che la percezione della gravità di un sintomo, e soprattutto del dolore, aumenta se l’umore è depresso e migliora se l’umore è buono;
b) aumenta la dopamina, che migliora l’energia vitale, l’assertività, l’atteggiamento positivo e la speranza: aspetto quest’ultimo difficile da quantizzare, ma estremamente potente nel condizionare anche l’attività, per esempio, del sistema immunitario, attraverso sottili interazioni nervose, immunitarie e ormonali;
c) aumentano gli oppioidi endogeni, che sono i nostri analgesici naturali: e questo spiega il miglioramento anche del dolore, specie nelle sue componenti psichiche di risonanza, legate all’ansia, alla solitudine, alla depressione;
d) si riducono l’adrenalina e tutti i mediatori dell’ansia.
Come possiamo dimostrare che queste modificazioni avvengano effettivamente nel nostro cervello?
Queste tecniche hanno infatti evidenziato come l’effetto placebo attivi molte aree cerebrali:
- il giro cingolato anteriore, coinvolto nel colore emotivo di un’esperienza, ma anche nella modulazione del dolore viscerale (addominale e pelvico);
- la corteccia prefrontale, coinvolta nelle emozioni, nella percezione del tempo, nei meccanismi di ricompensa, nell’apprendimento discriminante e nell’impulsività, aspetti che possono essere coinvolti nella processazione del significato del dolore;
- la sostanza grigia periacqueduttale, coinvolta nell’ansia e nel panico, che aumentano anche nel dolore.
a) influenzando le aspettative sul futuro sollievo del dolore prima dello stimolo doloroso;
b) modificando la percezione del dolore, anche attraverso una modificazione del tono dell’umore legata all’aspettativa positiva e al senso del tempo (che si allunga quando viviamo esperienze negative e si accorcia quando viviamo quelle positive);
c) modificando la valutazione dell’intensità del dolore dopo lo stimolo.
L’effetto placebo è quindi “reale” e si basa su significative variazioni dell’attività neurobiologica del cervello. E’ particolarmente evidente nell’analgesia placebo.
Questo indica come fattori psichici favorevoli, inclusa un’aspettativa di riduzione del dolore, possano attivare molteplici aree del cervello con un’efficace impatto analgesico sulla processazione dello stimolo doloroso, riducendone l’intensità percepita.
Quindi anche il placebo ha un effetto biologico, non legato al principio attivo ma alle aspettative positive che la stessa somministrazione, e il modo con cui è stata effettuata, hanno attivato nella persona così trattata (Field e Swarm 2008).
Effetto placebo e pratica clinica
Effetto nocebo e aspettative negative
Negli studi clinici, l’effetto nocebo è presente con due cause principali: da un lato la persona attribuisce al farmaco che crede di assumere (mentre in realtà è nel gruppo di controllo) problemi o sintomi che erano già presenti ma cui dedicava prima poca attenzione e che ora attribuisce al farmaco (per esempio sintomi neurovegetativi “aspecifici” quali debolezza, stanchezza, irritabilità, ipersonnia o altre difficoltà nel sonno, o nella digestione, o sintomi sessuali; o sintomi cutanei minori, come un’acne lieve).
Dall’altro lato, l’effetto nocebo opera attraverso il condizionamento negativo che la persona ottiene documentandosi sulla ricerca in corso, o sul farmaco che sta assumendo (se è un paziente in terapia reale): l’aspettativa negativa agisce poi sul sistema neurobiologico, immunitario ed ormonale in modo opposto a quanto fa il placebo.
E’ un effetto raro? Nient’affatto. Ogni medico lo vede quotidianamente in molti pazienti, quando lamentano una lista di effetti collaterali, con un farmaco in genere ben tollerato, solo perché hanno letto il foglietto illustrativo che accompagna la confezione e sono rimasti spaventati.
Che cosa può aumentare la vulnerabilità all'effetto nocebo?
a) l’avere una personalità ansiosa, e quindi iperreattiva, anche dal punto di vista neurovegetativo, che è il grande regista delle nostre reazioni primarie ad un farmaco;
b) l’essere depressi: alcuni studi indicano che la depressione può aumentare da tre a sette volte la percezione del dolore in caso di dolore viscerale, sia esso dovuto ad endometriosi, a sindrome del colon irritabile, a cistite, a dispareunia profonda.
c) l’avere paura del futuro: aspetto drammatico soprattutto nel dolore cronico, in cui il/la paziente non vede più via d’uscita;
d) l’avere un medico distaccato e frettoloso, che non attiva la fiducia essenziale a capire perché quel farmaco sia necessario per guarire o almeno migliorare;
e) il vivere in un contesto (media inclusi) che demonizzi il farmaco usato (basti pensare al terrorismo effettuato contro le terapie ormonali sostitutive per le donne in menopausa).
Effetto nocebo e basi neurobiologiche
Lo studio aggiunge un ulteriore tassello alla comprensione delle basi biologiche dell’effetto placebo e nocebo. E mostra come l’attivazione del sistema dopaminergico di ricompensa possa essere parte essenziale del processo di accettazione e valutazione positiva di un farmaco, che sta poi alla base di compliance, aderenza e persistenza d’uso.
Conclusioni
Bibliografia essenziale
Field B.J. Swarm R.A.
Chronic pain – advances in psychotherapy. Evidence based practice
Hogrefe & Huber, Cambridge, MA, 2008
Kong J. Kaptchuk T.J. Polich G. Kirsch I. Gollub R.L.
Placebo analgesia: findings from brain imaging studies and emerging hypotheses
Rev Neurosci. 18 (3-4): 173-90, 2007
Scott D.J. Stohler C.S. Egnatuk C.M. Wang H. Koeppe R.A. Zubieta J.K.
Placebo and nocebo effects are defined by opposite opioid and dopaminergic responses
Arch Gen Psychiatry. 65 (2): 220-31, 2008
Walach H. Jonas W.B.
Placebo research: the evidence base for harnessing self-healing capacities
J Altern Complement Med. 10 Suppl 1: S103-12, 2004