Introduzione
In questa quarta parte, illustriamo come evitare una serie di errori clinici che possono contribuire a mantenere il dolore pelvico cronico: l’omissione diagnostica o, al contrario, la sopravvalutazione di molestie e abusi pregressi; la lettura non integrata del percorso neurobiologico che interconnette abuso e dolore pelvico cronico; le possibili forme di “abuso iatrogeno”; l’assenza di un rapporto medico-paziente basato sulla fiducia, sull’ascolto e su una comunicazione clinica completa e comprensibile.
Omissione diagnostica
Sopravvalutazione diagnostica
Lettura fisiopatologica non integrata
Il punto critico è che ogni emozione, ogni sensazione, ogni ricordo sono sottesi da modificazioni neurochimiche che pervadono tutto il corpo, oltre che il cervello. Per esempio, in caso di abuso fisico e sessuale, la donna, ma anche il bambino, ogni qualvolta ricordino l’abuso, o abbiano incubi ricorrenti basati su quell’ abuso, rivivono esattamente tutte le sensazioni fisiche di orrore, angoscia, paura di morire e dolore fisico vissute in quell’esperienza. Questo si associa ad iperattivazione della via ormonale dello stress (Corticotrophin Releasing Pathway, la via di rilascio delle corticotropine), con incremento dell’adrenalina e del cortisolo, ma anche delle molecole infiammatorie che contribuiscono biologicamente ad aumentare anche la depressione conseguente all’abuso stesso. Si tratta di scoperte recenti, non ancora condivise da tutta la comunità scientifica e clinica: ecco perché è importante parlarne!
Forme di abuso iatrogeno
a) la negazione della verità biologica del dolore: ogni volta che un medico dice che «il dolore è tutto nella sua testa», incrina il rapporto fiduciario con la paziente, e può provocare in lei ulteriori emozioni negative, come ansia, depressione, senso di disvalore, solitudine e disperazione. Ma può anche scatenare ulteriormente la violenza domestica – a livello fisico, emotivo o sessuale – quando dice ai familiari e/o al partner che la donna si sta “inventando” il dolore. Molti uomini vanno su tutte le furie all’idea di continuare a viaggiare e spendere soldi nel “doctor shopping”, e di rinunciare al sesso quando il dolore pelvico cronico provoca o include dispareunia, mentre lei in realtà non ha “niente”, il dolore che asserisce di avere non esiste ed è solo una scusa per non avere rapporti: «Se il dottore ha detto così, che non hai niente, devi smetterla una volta per tutte di lamentarti. Sta' zitta! Ne ho abbastanza del tuo dolore!». Spiegare sempre la verità biologica del dolore diventa invece un positivissimo intervento, anche psicoterapeutico, sul partner e sulla famiglia. Più i familiari vengono aiutati a comprendere quanto c’è di fisico, medico, curabile nel dolore, più possono diventare essi stessi fonte di aiuto e sostegno per la donna. Con una spiegazione adeguata è possibile cambiare anche le atmosfere familiari e dare un senso diverso all’attesa di guarigione;
b) l’effetto nocebo in senso proprio: i medici conoscono bene l’effetto placebo, ma pochi sono consapevoli del fatto che esiste anche un potente “effetto nocebo”, che può essere indotto dal linguaggio verbale e non verbale. La ricerca in quest’ambito è infatti recentissima e ancora poco condivisa in ambito medico. Ogni volta che neghiamo la verità del dolore, o esageriamo la gravità della situazione, o comunichiamo una diagnosi negativa senza valorizzare lo spazio di speranza che dovrebbe essere coltivato per ogni paziente, soprattutto nel campo del dolore pelvico cronico, l’effetto nocebo è in agguato, per cui l’attesa di un evento negativo può determinare il peggioramento del sintomo (Benedetti et Al, 2007). Evidenze autorevoli indicano come l’effetto nocebo si fondi su basi neurobiologiche, esattamente come l’effetto placebo. In particolare, quando le parole o gli atteggiamenti esprimono dolore, si verificano un aumento dell’ansia anticipatoria e una riduzione dell’attività svolta dalle vie serotoninergica, dopaminergica e opiatergica, di segno opposto rispetto a quella documentata quando intervenga l’effetto placebo (Benedetti et Al, 2007; Scott et Al, 2008). Recenti evidenze sperimentali indicano inoltre che le suggestioni verbali negative provocano ansia anticipatoria riguardo l’incombente peggioramento del dolore, e che questa ansia indotta a livello verbale provoca l’attivazione di colecistochinina (CCK) che, a sua volta, facilitata la trasmissione del dolore. Per contro, si è scoperto che gli antagonisti della colecistochinina bloccano questa iperalgesia indotta dall’ansia (“nocebo hyperalgesia”), aprendo così la possibilità di nuove strategie terapeutiche ogniqualvolta il dolore abbia un’importante componente d’ansia (Benedetti et Al, 2007).
La raccomandazione pratica è di essere sempre consapevoli del potente effetto emotivo e biologico delle parole, e di comunicare sempre con tatto e accuratezza, bilanciando la descrizione della gravità del caso con l’attenzione a tutto ciò che verrà fatto per ridurre il dolore e per migliorare le condizioni della paziente. Sarà così possibile valorizzare l’effetto curativo del buon rapporto tra medico e paziente, nonché della fiducia, rispettosa della verità del dolore, stabilita anche con i familiari;
c) l’abuso fisico: il 5,8% delle mie pazienti con dispareunia cronica e vestibolite vulvare (dati non pubblicati) riporta come unica esperienza traumatica, così dolorosa o inquietante da essere vissuta come “abuso”, le manovre diagnostiche o terapeutiche invasive effettuate nell’area genitale da medici o infermiere, nell’infanzia o nella prima adolescenza, senza la dovuta delicatezza o senza un’appropriata analgesia. Esami come il tampone uretrale, la cistoscopia, i tamponi vaginali, la visita vaginale, la sutura di traumi genitali minori a seguito di ferite subite giocando, la separazione manuale delle labbra conglutinate dal lichen sclerosus, sono ricordate come traumatizzanti, dolorose, se non addirittura violente, e in grado di aumentare l’ansia anticipatoria non appena un “camice bianco” si avvicina al corpo della paziente (Graziottin, 2006). Ancora una volta, ci troviamo di fronte a un effetto nocebo potente, duraturo e fondato su solide basi neurobiologiche.
In positivo, l’attenzione ad effettuare ogni manovra diagnostica in area genitale, anche e soprattutto in età pediatrica o in adolescenza, con grande rispetto, delicatezza, attenzione e con la giusta analgesia è la migliore prevenzione nei confronti di quei ricordi negativi che possono altrimenti costituire fattori di vulnerabilità nei confronti del dolore genitale;
d) l’abuso sessuale: quando un professionista della salute (medico, infermiere, psicologo e così via) viola i confini del corretto rapporto medico-paziente, le conseguenze negative di questo atto possono manifestarsi mesi o anni dopo l’abuso.
Importanza di un corretto rapporto medico-paziente
a) ascoltando con rispetto ed empatia la storia personale della paziente, incluse le esperienze negative del passato;
b) spiegando alla donna e al partner, quando presente, che il suo dolore è reale e non nella sua testa, che esso ha un nome e un certo numero di cause fisiche e psicologiche da affrontare in modo bilanciato (diagnosi), e che per migliorare richiede un certo tempo (prognosi) e un approccio terapeutico interdisciplinare (terapia);
c) stabilendo un rapporto medico-paziente basato sulla fiducia. Quest’ultimo fattore è particolarmente importante quando si tratta di dolore pelvico cronico (McDonald, 1998; Field & Swarm, 2008): «Ho sentito che avevo finalmente trovato il medico che si sarebbe preso cura di me e del mio problema. Per la prima volta ho sentito di essere creduta, e la mia ansia è andata via». Quando una donna arriva a pronunciare queste parole piene di gratitudine, significa che il primo farmaco efficace, per lei, è stato il medico stesso: e questo potente effetto placebo, ancora una volta fondato su solidissime basi neurobiologiche, è oggi confermato da evidenze scientifiche crescenti e autorevoli (Benedetti et Al, 2007; Scott et Al, 2008).
Di converso, quando questo rapporto fiduciario manca, si perde l’opportunità di costruire un’alleanza terapeutica preziosa per orientare sul cammino della guarigione, ottimizzando l’effetto di tutte le cure specifiche, farmacologiche e riabilitative.
Conclusioni
Il medico che sappia instaurare un buon rapporto con la paziente, basato non solo sulla fiducia e il rispetto, ma anche su una grande attenzione alla verità biologica del dolore, diventa egli/ella stesso/a il primo strumento di terapia.
Non a caso Michael Balint (il medico “padre” della medicina psicosomatica) diceva sempre: «Il primo farmaco che il medico prescrive è se stesso», sottolineando così il ruolo terapeutico cruciale del dialogo, dell’ascolto e della fiducia, capaci di attivare il percorso di guarigione dalla sofferenza fisica e psichica se uniti, in parallelo, a una grande competenza nella capacità medica di cura delle cause biologiche del dolore stesso.
Approfondimenti specialistici
When words are painful: unraveling the mechanisms of the nocebo effect
Neuroscience. 29; 147 (2): 260-71, 2007
Field B.J. Swarm R.A.
Chronic pain – advances in psychotherapy. Evidence based practice
Cambridge, MA, Hogrefe & Huber, 2008
Graziottin A.
Iatrogenic and post-traumatic female sexual disorders
in: Porst H. Buvat J. (Eds), ISSM (International Society of Sexual Medicine) Standard Committee Book, Standard practice in Sexual Medicine, Blackwell, Oxford, UK, p. 351-361, 2006
Graziottin A.
Psychogenic causes of Chronic Pelvic Pain and impact of CPP on psychological status
in: Vercellini P. (Ed), Chronic pelvic pain, Wiley, 2011, p. 29-39
Mc Donald J.S.
Pelvic and abdominal pain
In: Ashburn MA, Rice LJ (Eds) The management of pain
New York, Churchill Livingston, Chapter 24, 383-400, 1998
Scott D.J. Stohler C.S. Egnatuk C.M. Wang H. Koeppe R.A. Zubieta J.K.
Placebo and nocebo effects are defined by opposite opioid and dopaminergic responses
Arch. Gen. Psychiatry 65 (2): 220-31, 2008