Premessa
Adozione e affidamento
E’ impossibile spiegare a un bambino piccolo questa distinzione: egli non sa nulla di istituzioni. Però “sente” quello che c’è nell’anima di chi lo accudisce, avverte se finalmente qualcuno, famiglia adottiva o affidataria che sia, lo accoglie con sé, ascolta i suoi bisogni, gli dà risposte adeguate. Infatti il bambino abbandonato, anche dopo essere stato accolto in una nuova famiglia, è incerto, spaventato, mette alla prova le persone che si occupano di lui, crede di essere privo di valore (perché questo è il messaggio che l’abbandono gli ha trasmesso), e chi lo accoglie deve fargli sentire che un simile abbandono non ci sarà mai più. Ma se i genitori adottivi possono trasmettere un simile messaggio, quelli affidatari non possono.
Ripiombare nella disperazione
Un bambino cresciuto in affidamento in una famiglia, e dalla stessa separato – per rientrare nella talora semi-sconosciuta famiglia d’origine o essere posto in adozione – si sente abbandonato di nuovo e ripiomba nella tristezza sconfinata di chi è separato dall’affetto della madre, del padre, dei fratelli. Se poi la scomparsa di quei legami riparatori si accompagna al venir meno di altre persone care, come gli amici e i maestri, e di luoghi noti (anche la “patria” è madre), la disperazione e il disorientamento sono profondissimi. Solo nuovi legami di altissima qualità, duraturi nel tempo, possono rassicurare chi subisce perdite ripetute di questo tipo; talora, però, il ripetersi di tali perdite rende le persone incapaci di abbandono e di fiducia per sempre, da piccole e da grandi.
Integrare le esperienze positive
La negazione dei sentimenti
Ma questa rassicurazione non arriva quasi mai. Poiché l’affidamento non è l’adozione, le istituzioni che non hanno decretato la liceità dell’affetto tra affidato e affidatari negano i sentimenti dell’uno e degli altri con il silenzio. Non si ammette mai che ci possano essere rapporti tenerissimi tra affidatari e affidati; se si creano, si ritiene che gli adulti abbiano sbagliato in qualcosa. Ma che cosa dovrebbero fare, questi adulti? Abbracciare il bambino mettendo fra sé e lui una barriera? Respingere il bambino che ha incubi notturni, quando arriva al loro letto per cercare consolazione? Lavarlo con i guanti di gomma? Con i piccoli non si può agire diversamente da come agirebbe qualsiasi genitore biologico o adottivo. A poco serve che non si insegni al bambino a chiamare mamma e papà gli affidatari, se si adempie ai ruoli materno e paterno.
La storia di Monica
La storia di Beatrice
La storia di Paolo
Un triste bilancio
Un dolore che riguarda tutti
Inoltre è giunta l’ora che, se e quando le separazioni sono inevitabili, qualcuno – nei servizi, nei tribunali e nelle associazioni di volontariato – si ponga il problema di curare la sofferenza inferta a grandi e piccoli con l’interruzione forzata del rapporto. E il dolore si cura divenendone consapevoli e condividendolo. Si cura liberandolo da pesanti sensi di colpa e inadeguatezza, senza minimizzarlo. Dobbiamo pensare che alcuni bambini sono stati costretti a cambiare relazioni primarie e secondarie, ambienti e abitudini, talora persino la lingua madre. E che certi lutti vengono percepiti già in anticipo dai bambini, che colgono l’imminente separazione prima ancora che venga loro comunicata, attraverso l’intuizione dei sentimenti dei grandi.
Piangerai quando me ne andrò?
Chi è stato separato dalle persone con cui viveva e a cui voleva bene, ha bisogno almeno di qualche telefonata, di qualche incontro con chi è rimasto nel suo cuore. Ma forme di rapporto tra le famiglie che abbiano successivamente accolto un bambino non sono previste per legge, e sono poco attuate nei fatti. Anzi, sono spesso viste come un ostacolo all’attaccamento fra il bambino e la famiglia che lo ha accolto per ultima, specialmente se si tratta di una famiglia adottiva. Così i piccoli sono lasciati soli, con la fantasia di essere stati ancora una volta abbandonati, con i loro sensi di inadeguatezza e di colpa, e gli ex-affidatari rimangono a chiedersi se abbiano omesso di fare qualcosa per proteggere i bambini.
Una nuova prospettiva
Affidamento e separazione forzata dalle persone care a molti appaiono sinonimi: non dimentichiamo che spesso è dolorosissimo anche il distacco iniziale del bambino dalla famiglia d’origine e soprattutto dalla mamma, perfino quando la stessa lo maltratta. Per evitare nell’immaginario comune tale sovrapposizione, servizi e tribunali si devono porre il problema di evitare di costellare la vita dei bambini più sfortunati con rapporti affettivi interrotti, sia attualmente, a legislazione invariata, sia nell’ipotesi di auspicabilissime circolari applicative della legge 149/01.
Già si è detto come anche ora, con la semplice attuazione dell’art. 44, sia possibile trasformare affidamenti ben riusciti in adozioni all’interno della stessa famiglia in cui il bambino si trova; non si è ancora detto invece quanto sia necessario, per evitare comportamenti diametralmente opposti tra gli operatori, che la legge diventi meno ambigua. Benché non ci siano due affidi uguali fra loro sotto il cielo, la legge o le sue circolari applicative dovrebbero indicare con chiarezza la volontà del legislatore: se è preferibile tenere i due istituti rigidamente separati, per timore di aggiramenti della legge sull’adozione, o se è preferibile tutelare la continuità degli affetti.
A mio avviso la preoccupazione degli aggiramenti della legge è eccessiva ed è comunque superabile: basterebbe che i requisiti per adottare o prendere in affidamento un bambino venissero equiparati e il problema sarebbe risolto. Ma la questione dei requisiti è più delicata di quanto sembri e prevede scelte politiche che dividerebbero il fronte laico da quello cattolico. In alternativa si potrebbe decidere, per lasciare alla legge la grande flessibilità di cui c’è bisogno, che le situazioni vengano valutate caso per caso (come d’altronde si fa già ora), ma tenendo come riferimento fondamentale la necessità della tutela degli affetti dei bambini, vista come corollario del concetto di “superiore interesse del minore”, sempre evocato dalla legislazione minorile.
Conclusioni
I legami affettivi sani vanno incentivati, tutelati e protetti. E’ davvero sconcertante che il nostro Paese continui a preferire nei fatti, nonostante le sue stessi leggi, le case-famiglia e le comunità alloggio alle famiglie vere, perché lì i bambini “non si affezionano troppo” e “non soffrono nel distacco”.
La piccola rivoluzione culturale che auspico avrebbe la conseguenza pratica di rendere più popolare l’affidamento e quindi di aiutare a svuotare le comunità e le case-famiglia dai loro ospiti, dando una famiglia di fatto e di diritto alle decine di migliaia di bambini e adolescenti che ne sono privi.