Guida alla lettura
La lirica si intitola “Vietnam”, ed è proprio alle donne di quel paese martoriato da un conflitto durato quasi vent’anni che Wisława dedicava i suoi versi. Ma non è difficile, oggi, pensare alle donne dell’Afghanistan, dell’Iran, dell’Ucraina, a quelle russe che perdono i loro figli inviati al fronte per una causa assurda, a quelle africane che muoiono nel profondo del mare.
Non sappiamo chi sia la persona che interroga la donna con domande brevi e pazienti, alla ricerca di un aggancio che la possa riportare alla realtà: ma da alcuni indizi immaginiamo che possa trattarsi di un soldato giunto a liberare quel remoto villaggio, perché c’è anche un’insistenza a chiedere una scelta di campo («Da che parte stai?… Ora c’è la guerra, devi scegliere») che la sventurata non ha più la forza di compiere e, forse, nemmeno la volontà.
Ogni verso, tranne l’ultimo, si conclude con le stesse parole: «Nie wiem», non lo so. Si tratta di una figura retorica nota come “epifora”, e che crea un martellante effetto sonoro che si fa messaggio etico, cruda rivelazione esistenziale. L’ultimo verso, dicevamo, spezza la catena delle ripetizioni, e svela il cuore profondo del messaggio lirico: una donna può perdere tutto – le radici, il senso dell’oggi, la fiducia negli altri, l’incolumità personale – ma non l’identità di madre che si fa amore e protezione contro ogni ragione di morte. Quei figli non sono soli.
Abbiamo scelto di accompagnare il testo italiano con quello polacco, scritto in una lingua davvero molto diversa da quelle neolatine, per un motivo ben preciso: provare a immaginare, attraverso la lettura, il suono che echeggiò un giorno ad Auschwitz e negli altri campi di sterminio della Polonia, quando altre donne furono tratte in salvo – tutte travolte dall’orrore, quasi nessuna con i figli ancora con sé: «Nie wiem». E’ importante pensare che quelle parole aspre, incomprensibili ma evidenti nel loro timbro secco, sono risuonate un giorno sotto il cielo d’Europa come, anni dopo, sarebbero risuonate, in un’altra lingua, nelle pianure del Mekong: e risuonano oggi, in altre lingue ancora, nobili e bellissime, a Kabul, a Teheran, e nelle città dell’Ucraina.
Obiettivo di una civiltà consapevole del bene e del male è reagire alla barbarie e proteggere gli indifesi, anche ridando nuove e diverse risposte alle domande di questa terribile poesia: perché tutte le donne la cui vita è oggi devastata dalla guerra ritrovino il proprio nome e le proprie origini, escano dalle tane per tornare alla luce del sole, accolgano senza paura la mano tesa verso di loro, e non debbano più scegliere fra schieramenti di battaglia, ma possano vivere nella libertà e nella pace insieme ai loro figli e ai figli dei nemici di ieri.
Quando sei nata, da dove vieni? – Non lo so.
Perché ti sei scavata una tana sottoterra? – Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? – Non lo so.
Perché mi hai morso la mano? – Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? – Non lo so.
Da che parte stai? – Non lo so.
Ora c’è la guerra, devi scegliere. – Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? – Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? – Sì.
Kobieto, jak się nazywasz? – Nie wiem.
Kiedy się urodziłaś, skąd pochodzisz? – Nie wiem.
Dlaczego wykopałaś sobie norę w ziemi? – Nie wiem.
Odkąd się tu ukrywasz? – Nie wiem.
Czemu ugryzłaś mnie w serdeczny palec? – Nie wiem.
Czy wiesz, że nie zrobimy ci nic złego? – Nie wiem.
Po czyjej jesteś stronie? – Nie wiem.
Teraz jest wojna, musisz wybrać? – Nie wiem.
Czy twoja wieś jeszcze istnieje? – Nie wiem.
Czy to są twoje dzieci? – Tak.
Biografia
Nel 1945 si iscrive alla facoltà di Letteratura presso l’Università Jagellonica di Cracovia, passando a successivamente a Sociologia, che abbandona dopo soli tre anni, motivando così la rinuncia: «Nel 1947 la sociologia diventò mortalmente noiosa, si doveva spiegare tutto con il marxismo. Ho lasciato l’università perché già da allora dovevo guadagnarmi da vivere».
Nel 1954 esce il volumetto di poesie “Domande poste a me stessa”. Compie un viaggio in Bulgaria nell’ambito di scambi culturali, che si rivela fonte di ispirazione.
Nello stesso anno riceve il Premio della Città di Cracovia. Intanto, ha la fortuna di incontrare il saggista e poeta Czesław Miłosz, futuro Premio Nobel per la letteratura nel 1980, che la coinvolge nella vita culturale della capitale polacca. Le sue liriche sono tradotte in molte lingue europee, ma anche in arabo, ebraico, giapponese e cinese. E alcune sue raccolte sono pubblicate in Germania e negli Stati Uniti. Pietro Marchesani, che ha curato l'Introduzione del libro (Adelphi) dal quale abbiamo estratto la poesia “Nulla due volte”, ha tradotto in italiano la maggior parte della sua opera poetica, la quale si è nutrita anche di un’intensa attività politica, sempre più forte negli anni Ottanta, durante i quali si impegna a favore del sindacato Solidarnosc di Lech Wałęsa.
Nel 1996 viene insignita del Premio Nobel per la Letteratura. La motivazione che accompagna il premio: «Per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà».
Nel 2001 diventa membro dell’American Academy of Arts and Letters. Nel 2002 esce “Attimo”, primo volume di poesie dopo il Nobel, che dà il titolo anche a una lirica. La sua prima raccolta di versi era uscita nel 1945, “Cerco la parola”. L’ultima raccolta, “Dwukropek” (Due punti), viene pubblicata in Polonia il 2 novembre 2005: uno strepitoso successo, oltre quarantamila copie vendute in meno di due mesi.
Dopo un lungo periodo di malattia, il 1º febbraio 2012 Szymborska muore nel sonno nella sua casa a Cracovia.