Intanto è bene chiarire che non esiste in Italia una legge specifica diretta alla repressione e alla sanzione del mobbing, delle molestie e discriminazioni sul luogo di lavoro. Tuttavia, anche in assenza di una normativa sulla materia, il nostro ordinamento garantisce un’efficace tutela contro questi abusi, poiché ci sono norme, interpretate dalla giurisprudenza, che consentono di impostare una valida difesa nei confronti delle azioni illegittime che siano poste in essere nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori.
In questa sede non abbiamo ritenuto opportuno entrare nel dettaglio tecnico dell’impianto difensivo da predisporre per tutelare la vittima del mobbing e/o delle molestie sessuali e non. Così come non ci siamo soffermati sulla descrizione e l’analisi delle varie problematiche relative alle differenti fattispecie di condotte mobbizzanti (e moleste), alla risarcibilità dei diversi tipi di danni e alle vicende più strettamente processuali. Questi, infatti, sono compiti che possono essere svolti dai professionisti eventualmente contattati per la tutela del singolo caso.
Qui ci ripromettiamo soltanto di aprire alcune “finestre” di conoscenza e di mostrare la possibilità concreta e pratica di “uscire dal tunnel”. Entriamo dunque nel vivo dell’argomento.
La tutela può essere esercitata in sede civile, ovvero in sede penale.
In sede civile si può adire, con il legale di fiducia, il Giudice del lavoro per ottenere:
- il risarcimento dei danni patiti (patrimoniali e non patrimoniali: vedi box);
- la cessazione della condotta molesta, vessatoria, discriminatoria da parte del convenuto in giudizio;
- la reintegrazione sul posto di lavoro e/o nelle proprie mansioni, se il mobbing patito ha determinato un demansionamento, o un licenziamento, o comunque un allontanamento dal luogo di lavoro.
Un importante strumento di tutela contro le molestie, le discriminazioni e le vessazioni sul luogo di lavoro è anche la figura della Consigliera di Parità (nazionale, regionale o provinciale) che fra l’altro può promuovere azioni in giudizio (individuali e collettive) per la sanzione dei comportamenti molesti e discriminatori, e per la cessazione degli stessi.
Le Consigliere di parità (per le quali è prevista anche una rete di coordinamento a livello nazionale) sono Pubblici Ufficiali che possono fornire un valido aiuto sia nella fase dell’accoglienza e dell’ascolto, sia in quella dell’intervento in giudizio.
Alcune norme che disciplinano l’azione di questa utile figura di tutela compaiono nel Codice delle pari opportunità tra donna e uomo (Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198), di cui riporteremo una sintesi nella prossima puntata.
In sede penale si può presentare denuncia o querela, considerata l’importanza dei beni lesi dalle condotte moleste e vessatorie, perché siano rilevate le ipotesi di reato ad esse conseguenti.
A difesa della lavoratrice e del lavoratore, esiste quindi un ampio apparato normativo, di cui forniamo ora una rassegna essenziale. Per la scelta degli articoli ci siamo basati sulle decisioni pronunciate dai giudici italiani che, nelle sentenze relative a casi di molestie sessuali, morali e psicologiche sul luogo di lavoro, richiamano alcune norme particolari.
In questa scheda prendiamo in esame le norme contenute nella Costituzione della Repubblica Italiana, nel Codice Civile e nel Codice Penale. Nelle schede successive ci occuperemo delle leggi e dei decreti legislativi.
Forme di danno previste dalla legge italiana
Danno morale: sofferenza che la vittima patisce a seguito del reato subito.
Danno patrimoniale: lesione degli interessi economici della vittima.
Costituzione della Repubblica Italiana
Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 32, 1° c. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Art. 35, 1° c. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Art. 37, 1° c. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Art. 41, 1° c. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Codice Civile
Art. 2103 - Mansioni del lavoratore. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto (art. 96) o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.
Art. 2043 - Risarcimenti per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (art. 185 Codice Penale).
Art. 2049 - Responsabilità dei padroni e dei committenti. I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti.
Art. 2697 - Onere della prova. Per far valere in giudizio un diritto occorre che la persona provi i fatti che ne costituiscono il fondamento. Lo stesso nel caso di prova dell’inefficacia dei fatti, di modifica od estinzione dei diritti.
Codice Penale
Art. 583 - Circostanze aggravanti. La lesione personale è grave e si applica la reclusione da 3 a 7 anni se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.
Art. 586 - Morte o lesione come conseguenza di altro delitto. Quando da un fatto preveduto come delitto doloso, deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona si applicano le disposizioni dell’articolo 83 (“Evento diverso da quello voluto dall’agente”) ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate.
Art. 589 - Omicidio colposo. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Art. 590 - Lesioni personali colpose. Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire seicentomila. Se i fatti di cui al precedente capoverso sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena per le lesioni gravi è della reclusione da due a sei mesi o della multa da lire quattrocentottantamila a un milione duecentomila.
Art. 594 - Ingiuria. Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516,00. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa fino a euro 1.032,00 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.
Art. 595 - Diffamazione. Chiunque, fuori dai casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032,00. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni ovvero della multa fino a euro 2.065,00.
Art. 572 - Maltrattamenti in famiglia. Chiunque maltratta una persona della famiglia o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza, o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno fino a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni, se ne deriva la morte la reclusione da dodici a venti anni.
Art. 609 bis e seguenti - Violenza sessuale. Chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Art. 610 - Violenza privata. Chiunque con violenza o minaccia costringe altri a fare subire, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Art. 612 - Minaccia. Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 51,00.
Art. 660 - Molestia o disturbo alle persone. Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a lire un milione.
Biografia
Collabora con l’Associazione Telefono Rosa di Torino, quale legale volontaria, dal 1997, occupandosi prevalentemente della difesa dei diritti delle donne e dei minori vittime di violenza e di molestie sessuali e non. Dal 2000 è componente del consiglio direttivo dell’Associazione.
E’ iscritta dal 2004 alla Rete Nazionale delle legali dei Centri Antiviolenza.
Ha partecipato a numerosi convegni come relatrice sui temi del mobbing e delle molestie, sessuali e non, sul luogo di lavoro e sulla violenza di genere.
Nel 2007 ha pubblicato due manuali su discriminazioni, mobbing e molestie sessuali sul luogo di lavoro per conto della Commissione Pari Opportunità della Regione Piemonte.
E’ Consigliera di fiducia per il rispetto del codice etico e Consulente contro le molestie ed il mobbing delle Università di Torino e di Parma, e del Politecnico di Torino.