Guida alla lettura
Del romanzo nel suo complesso abbiamo parlato nell’articolo “L’essenza del tragico: quando la malattia spezza la personalità”, al quale rimandiamo quindi per uno sguardo d’insieme. In questa parte il racconto si concentra con accenti profondamente commossi sugli ultimi giorni di Joachim: rientrato in sanatorio dopo la malaugurata decisione di abbandonare le cure e raggiungere il reggimento presso cui era allievo ufficiale, il giovane peggiora rapidamente e in poche settimane muore.
Questa prima parte si dipana dalla notizia dell’imminente fine, data dal direttore medico del sanatorio ad Hans Castorp, all’arrivo della madre del moribondo, Luise Ziemssen, una donna solida e coraggiosa che sino all’ultimo starà accanto al figlio. La prosa di Mann, a differenza che in altri momenti del romanzo, è semplice e piana, e non pone particolari problemi interpretativi.
Ci limitiamo dunque a segnalare alcuni passi significativi che aiutano a riflettere sulle dinamiche che, in genere, si sviluppano intorno alla persona in fin di vita: la raccomandazione che il direttore del sanatorio rivolge a Castorp di “essere gentile” con il malato; lo scarico di responsabilità con cui il medico stesso delega al giovane l’incarico di avvisare la madre («Ci pensi lei, con tatto e delicatezza»); la “virile compostezza” che Joachim mantiene, fedele al proprio senso del decoro e dell’onore, a dispetto del crescente imbarazzo imposto dalla malattia (la debolezza fisica, le difficoltà a ingerire il cibo); l’atteggiamento cerimonioso dei commensali, che poi – alle spalle del giovane – si informano sulle sue reali condizioni; l’autocensura che tacitamente si impone fra i due giovani, i cui discorsi si limitano ormai ai piccoli eventi della vita quotidiana; l’impossibilità per Hans di sfogare la propria angoscia; lo strano distacco di Joachim, nonostante la tremenda sentenza che lo fa “appartenere alla terra”, perché «il nostro morire è più un problema per chi ci sopravvive che per noi»; e, al tempo stesso, l’istintivo pudore che gli fa abbassare lo sguardo: «Il pudore della creatura dinnanzi alla vita, che la fa strisciare in un nascondiglio per morire».
Infine, l’arrivo della madre: Hans, nel suo impaccio giovanile, l’accoglie con parole tanto studiate quanto goffe e infelici, ma attraverso i suoi occhi finalmente “vedrà” il cugino («Fino ad allora i mutamenti che erano avvenuti in Joachim non gli erano parsi così appariscenti… i giovani non hanno occhio per queste cose»), si renderà conto delle sue reali condizioni e si rivelerà capace di accompagnarlo con coraggio e discrezione fino al momento del trapasso.
«Che posso dirle, signor consigliere aulico. Un parente così stretto, un così buon amico, e poi, quassù, un mio commilitone.» Hans Castorp ebbe un breve singulto e posò a terra un piede sulla punta spingendo il tallone verso l’esterno.
Il consigliere aulico si affrettò a lasciargli la mano.
«Be’, allora sia gentile con lui in queste sei, otto settimane» disse. «Si abbandoni alla sua innata propensione all’innocuo, nulla potrà fargli maggior piacere. E poi sarò qui anch’io, così da rendere la cosa quanto più possibile confortevole e cavalleresca».
«Laringe, non è vero?» domandò Hans Castorp, rivolgendo al consigliere aulico un cenno di assenso.
«Tubercolosi laringea» confermò Behrens. «La distruzione avanza rapidamente. E la mucosa delle vie aeree è già molto malconcia. Non è escluso che le grida di comando, quando era al reggimento, abbiano prodotto un locus minoris resistentiae. Dobbiamo sempre essere preparati a simili diversioni. Poche speranze, caro il mio giovane; per meglio dire, nessuna. Ma naturalmente bisogna tenere conto di tutto quello che è giusto e legittimo».
«La madre…» disse Hans Castorp.
«In seguito, in seguito. Ancora non c’è fretta. Ci pensi lei, con tatto e delicatezza, a metterla gradualmente al corrente della situazione. Ma ora fili al suo posto di combattimento. Potrebbe essersi accorto di tutto. E dev’essere penoso per lui che si parli così alle sue spalle».
Ogni giorno Joachim andava a farsi praticare le spennellature. L’autunno era bello, e lui, coi suoi calzoni bianchi indossati sotto una giubba azzurra spessa, dopo la terapia, arrivava in ritardo a tavola, lindo e militaresco porgeva un breve saluto con cortese e virile compostezza, chiedeva scusa per il disturbo e si metteva a mangiare le speciali pietanze che ora gli preparavano perché il cibo normale, dato il rischio che gli andasse di traverso, non gli si confaceva: gli venivano servite minestre, carne tritata e semolini. Ben presto i commensali capirono la situazione. Presero a ricambiare il suo saluto con particolare gentilezza e calore chiamandolo «signor sottotenente». In sua assenza interrogavano Hans Castorp, e anche dagli altri tavoli qualcuno venne a chiedere notizie. La signora Stöhr si avvicinava torcendosi le mani e piagnucolando nel suo stolido modo. Ma Hans Castorp rispondeva a monosillabi, ammetteva che il caso era serio, ma entro certi limiti mentiva e negava, lo faceva per motivi d’onore, perché sentiva che non era giusto esporre Joachim prima del tempo alla generale commiserazione.
Andavano a camminare insieme, facevano tre volte al giorno la prescritta passeggiata ricreativa che non si spingeva oltre una certa meta, indicata con esattezza dal consigliere aulico perché fosse evitato un inutile dispendio di energie… Non parlavano molto, pronunciavano le parole che giorno dopo giorno la vita quotidiana del Berghof portava loro alle labbra, nient’altro. Sull’argomento che restava tra loro sospeso non c’era assolutamente niente da dire, soprattutto tra persone dai modi riservati che solo in casi estremi si chiamavano reciprocamente per nome. A tratti il petto del borghese Hans Castorp, oppresso e gonfio com’era, era sul punto di sfogarsi. Ma non poteva farlo. La dolorosa tempesta che stava per erompere si placava ed egli restava in silenzio.
Joachim camminava accanto a lui a testa bassa. Guardava per terra, sembrava che contemplasse il suolo. Era ben strano: era qui che camminava, lindo e corretto, salutava coloro che passavano nel suo tipico modo cavalleresco, come sempre teneva molto al suo aspetto esteriore e alla bienséance ... eppure apparteneva alla terra. Be’, tutti noi prima o poi le apparteniamo. Ma appartenerle quando si è così giovani e si è servita la bandiera con tanta buona e lieta volontà per un tempo così breve, questo sì che era amaro: ancora più amaro e incomprensibile per il consapevole Hans Castorp, il quale camminava al suo fianco, che per Joachim, l’uomo della terra, il cui tacito e dignitoso sapere era, in realtà, di natura molto accademica, aveva per così dire un modesto contenuto di realtà, come se in fondo riguardasse più gli altri che non la sua stessa persona. In effetti il nostro morire è più un problema per chi ci sopravvive che per noi; giacché, possiamo anche non saperle citare, ma in ogni caso conservano piena validità sul piano psicologico le parole dell’arguto sapiente [Epicuro, N.d.R.] il quale diceva che fintanto che ci siamo noi la morte non c’è, e quando c’è la morte non ci siamo noi; e dunque tra noi e la morte non esiste alcun rapporto reale e la morte è una cosa che per noi non è assolutamente nulla e tutt’al più riguarda il mondo e la natura… ragione per la quale tutti gli esseri viventi guardano alla morte con calma, indifferenza, irresponsabilità ed egoistica innocenza. Una buona dose di tale innocenza e irresponsabilità Hans Castorp riscontrò nel modo di essere di Joachim durante quelle settimane, e capì che suo cugino certamente sapeva, e tuttavia non gli costava fatica serbare su questo suo sapere un dignitoso silenzio perché le sue intime relazioni con esso erano blande e teoriche…
Anche le lamentele di Joachim, inizialmente così animate e rabbiose, per la perdita delle manovre e, in generale, del servizio militare nelle terre basse, non si fecero più sentire… Di fronte a chi o a che cosa si abbassava e si nascondeva il suo sguardo, un tempo così diretto? Com’è strano il pudore della creatura dinnanzi alla vita, pudore che la fa strisciare in un nascondiglio per morire… convinta che dalla natura, là fuori, non può attendersi né riguardo né pietà per il suo dolore e per la sua morte… Il petto di Hans Castorp si gonfiava di un’umanissima e amorevole compassione quando scorgeva quell’oscuro e istintivo pudore negli occhi del povero Joachim…
Ma poi venne il momento in cui l’incupimento nello sguardo di Joachim apparve al giovane Hans Castorp sotto un’altra luce, fu all’inizio di novembre – la neve era alta – e a Joachim era stato impartito l’ordine di non muoversi dal letto. A quell’epoca gli divenne troppo difficile perfino mandar giù la carne tritata e le pappine che, ogni due bocconi, prendevano nella sua gola la via sbagliata. Era consigliabile passare a una dieta esclusivamente liquida e, per risparmiare energie, Behrens prescrisse riposo costante… Da allora in poi Joachim assunse in permanenza la posizione orizzontale e Hans Castorp lo scrisse a Luise Ziemssen, dalla sua eccellente sedia a sdraio le scrisse che alle sue precedenti comunicazioni doveva aggiungere che Joachim era costretto a letto e che, pur non avendo detto niente a nessuno, gli si poteva leggere negli occhi il desiderio di avere accanto sua madre, tacito desiderio che il consigliere aulico Behrens appoggiava espressamente. Aggiunse anche questo, con delicatezza ma con parole esplicite. Nessuna sorpresa, dunque, se la signora Ziemssen si avvalse dei più rapidi mezzi di trasporto per raggiungere il figlio: arrivò tre giorni dopo l’invio di questa lettera allarmante pur nella sua umana delicatezza e Hans Castorp andò a prenderla con una slitta, nel bel mezzo di una tormenta di neve, alla stazione di Davos-Dorf… in attesa sul marciapiede aggiustò l’espressione del viso così da non spaventare immediatamente la madre modo eccessivo e, al contempo, da non suggerirle al primo sguardo nulla di sbagliato, cioè di lieto.
Quante volte si erano già avuti, in questo luogo, simili incontri, quante volte e con quanta spasmodica angoscia colui che era sceso dal treno, precipitandosi incontro a chi era lì per accoglierlo, aveva provato a leggere nei suoi occhi! La signora Ziemssen dava l’impressione di essere arrivata a piedi da Amburgo. Col viso in fiamme si portò al petto la mano di Hans Castorp e, guardandosi intorno quasi intimidita, prese a porgli domande incalzanti e, in qualche modo, segrete, alle quali lui si sottrasse ringraziandola di essere arrivata così in fretta, era avvero una cosa magnifica, disse, Joachim ne sarebbe stato immensamente felice. Già, al momento purtroppo si trovava a letto, era per via della dieta liquida che, naturalmente, non poteva che pregiudicare le sue energie e lo stato generale. Ma in caso di necessità c’erano anche altri metodi, ad esempio l’alimentazione artificiale. Del resto avrebbe visto lei stessa.
Vide; e al suo fianco anche Hans Castorp vide. Fino ad allora i mutamenti che erano avvenuti in Joachim nelle ultime settimane non gli erano parsi così appariscenti… i giovani non hanno occhio per queste cose. Ma adesso, accanto alla madre giunta da fuori, lo osservò, per così dire, con gli occhi di lei, come se non lo avesse visto da molto tempo, e notò in modo chiaro e netto quel che certamente notò anche lei e che con assoluta sicurezza lo stesso Joachim sapeva meglio di chiunque tra loro tre, e cioè che era un moribondo. Joachim tenne la mano della signora Ziemssen tra le sue, che erano gialle e consunte come il suo volto, dal quale, proprio in conseguenza del dimagrimento, ancor più che in passato le orecchie erano discoste, lieve cruccio dei suoi begli anni, alterandone deplorevolmente la fisionomia, un volto che però, a prescindere e nonostante questo difetto, appariva ancora più bello e virile per via di quell’impronta dolente, nonché per la sua espressione di serietà e severità, e persino di fierezza… e ciò benché le labbra con i baffetti neri che le sovrastavano sembrassero ora troppo piene nel contrasto con le ombre delle guance infossate. Due rughe si erano incise nella pelle giallastra della fronte, tra gli occhi, che pur sprofondati nelle loro ossute cavità erano più belli e più grandi che mai, e dalla cui vista Hans Castorp trasse conforto. Perché da quando Joachim giaceva a letto, da essi erano svaniti del tutto inquietudine, incupimento e insicurezza… Joachim non sorrise tenendo la mano di sua madre quando in un sussurro le augurò il buon giorno e le diede il benvenuto. Anche quando era entrata non aveva sorriso neppure per un attimo, e questa immobilità, l’immutabilità della sua espressione, dicevano tutto.
[segue]
Biografia
Nel 1897, su invito dell’editore Fischer, inizia a lavorare al suo romanzo più famoso, i Buddenbrooks, che sarà pubblicato quattro anni dopo con grande successo.
Nel 1905 sposa Katharina Pringsheim (1883-1980), figlia del matematico Alfred Pringsheim e nipote di Hedwig Dohm, un’appassionata propugnatrice dei diritti della donna, famosa nell’Ottocento per il sostegno dato al suffragio femminile e alla lotta a favore dell’aborto. Dal matrimonio fra Thomas e Katharina nasceranno sei figli.
Nel 1929 gli viene conferito il Premio Nobel per la Letteratura.
Nel gennaio del 1933, Mann tiene una celebre conferenza all’Università di Monaco, che segna la sua ultima apparizione pubblica in Germania: “Dolore e grandezza di Richard Wagner”. In quell’occasione lo scrittore mette radicalmente in discussione i legami fra nazionalsocialismo e arte tedesca. La conferenza suscita molte proteste. L’11 febbraio, pochi giorni dopo l’ascesa di Hitler al potere, Mann si reca all’estero per un ciclo di conferenze e non fa ritorno. Si stabilisce dapprima presso Zurigo, poi – nel 1941 – a Pacific Palisades, in California, ove frequenta tra gli altri Arnold Schoenberg e Theodor Adorno.
Nel 1944 diviene cittadino americano. In un famoso appello radiofonico della serie “Attenzione, tedeschi!”, sostiene che gli alleati non mirano a ridurre la Germania in schiavitù, ma a ripristinare la democrazia in Europa.
La prima visita in Germania dopo la guerra risale al 1949. Nel giugno 1952 si trasferisce a Zurigo. Tre anni più tardi, mentre si trova in Olanda, viene colpito da una trombosi: muore la mattina del 12 agosto.
Il primo romanzo di Mann, I Buddenbrooks, narra la storia e la decadenza di una ricca famiglia di mercanti, seguendone le vicende attraverso diverse generazioni: all’analisi psicologica dei personaggi si affianca una altrettanto acuta osservazione della società europea e dei suoi mutamenti nei primi anni del Ventesimo secolo.
Ai Buddenbrooks fanno seguito numerosi racconti, fra i quali Tonio Kröger (1903) e La morte a Venezia (1911). Nel 1912, durante una visita alla moglie nel sanatorio di Davos, in Svizzera, nasce l’idea di Der Zauberberg (La montagna magica): concepito anch’esso in un primo momento come racconto, si trasformerà in un ampio romanzo pubblicato nel 1924.
Fra il 1933 e il 1942, Mann scrive la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli. Nel 1947 compare il suo romanzo più complesso, Doctor Faustus, storia del compositore Adrian Leverkühn e della corruzione della cultura tedesca negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Nello stesso anno, durante un viaggio in Italia, lo scrittore riceve il premio dell’Accademia dei Lincei.
Nel 1951 esce il romanzo L’eletto, e Mann diviene membro della “Academy of Letters” americana. Il racconto L’inganno, ultimo romanzo breve, viene pubblicato nel 1953.