Gli Autori sottolineano come:
- il ruolo del calcifediolo nella percezione del dolore cronico sia un tema ampiamente dibattuto;
- bassi livelli di calcifediolo siano comuni fra le pazienti affette da dolore severo e fibromialgia;
- manchino trial randomizzati controllati contro placebo sui benefici di una supplementazione di vitamina D.
Il calcifediolo – noto anche come calcidiolo o 25-idrossicolecalciferolo – è un preormone prodotto nel fegato per idrossilazione del colecalciferolo. Una volta prodotto, viene convertito nei reni dall’enzima 25-idrossivitamina D3 1-alfa-idrossilasi in calcitriolo, un ormone secosteroide che è la forma biologicamente attiva della vitamina D. Il dosaggio dei valori di calcifediolo è quindi il metodo più efficace per valutare i livelli della vitamina nell’organismo. I valori normali sono compresi fra 30 e 74 ng/mL. Tuttavia l’intervallo di riferimento varia a seconda di diversi fattori, come l’età e l’area geografica di residenza (l’esposizione solare è un fattore decisivo). Per questo motivo è stato suggerito un intervallo più ampio, fra 8 e 60 ng/ml (equivalenti a 20 e 150 nmol/L), mentre altri studi parlano di carenza quando i livelli siano inferiori a 32 ng/ml (80 nmol/L).
Lo studio è stato condotto su 30 donne affette da fibromialgia secondo i criteri diagnostici 1990 e 2010 dell’American College of Rheumatology, con livelli di calcifediolo inferiori a 32ng/mL (80nmol/L). Le pazienti sono state suddivise a caso in due gruppi:
- gruppo trattato, a cui è stata somministrata per 20 settimane una supplementazione di colecalciferolo;
- gruppo di controllo, trattato con placebo.
L’obiettivo era raggiungere un livello di calcifediolo compreso fra 32 e 48ng/mL, da misurarsi dopo un ulteriore periodo di 24 settimane senza supplementazione.
Gli effetti della supplementazione sulla percezione del dolore sono stati misurati con:
- la scala analogica visuale (VAS);
- il Short Form Health Survey 36;
- l’Hospital Anxiety and Depression Scale;
- il Fibromyalgia Impact Questionnaire;
- la sub-scala “Somatization” della Symptom Checklist-90-Revised.
La supplementazione si è tradotta in una sensibile riduzione del dolore misurato con la VAS e con il Short Form Health Survey 36, il che conferma il potenziale ruolo di questa economica terapia nel trattamento sintomatico delle pazienti affette da fibromialgia.
Commento della prof. Graziottin
L’esistenza di effetti non osteoarticolari della vitamina D è stata ipotizzata per la prima volta con la scoperta del suo specifico recettore (Vitamin D Receptor, VDR) in tessuti come la pelle, la placenta, il pancreas, la mammella, oltre che nelle cellule cancerose della prostata e del colon, e nelle cellule T attivate. Le ricerche successive hanno consentito di rispondere ad alcuni interrogativi circa la funzione della vitamina D in questi distretti, e di trarre promettenti conseguenze in tema di cura e prevenzione, anche se il significato biologico dell’espressione del VDR in tessuti così diversi fra loro non è stato ancora pienamente compreso, e lo stesso ruolo della vitamina D nella salute generale dell’organismo è tuttora materia di dibattito.
A oggi si sa che questa vitamina:
- contribuisce a regolare l’equilibrio dei livelli plasmatici del calcio e del fosforo;
- ottimizza la competenza immunitaria e previene le malattie autoimmuni;
- protegge la salute cardiovascolare e respiratoria;
- riduce il rischio di tumori, obesità e diabete;
- ottimizza la funzione muscolare;
- migliora la performance cerebrale, contrastando gli effetti dell’invecchiamento.
Nonostante queste crescenti evidenze, in Italia la vitamina D continua ad essere dosata di preferenza nelle anziane, quando la maggior parte delle donne in età fertile ne risulta carente.
Lo studio di F. Wepner e collaboratori, nonostante le ridotte dimensioni del campione, si inserisce in questo filone di studi e merita quindi di essere approfondito e confermato da analisi condotte su gruppi più ampi di pazienti.