- Indice:
- Introduzione
- La coppia all'inizio della gravidanza
- L'ecografia ostetrica e la diagnosi prenatale
- La comunicazione della diagnosi
- L'ecografista e la comunicazione della diagnosi
- La diagnosi inquietante
- Il ruolo dello psicologo nella diagnosi prenatale
- Il dolore dei genitori di fronte ad una diagnosi di malformazione
- Le difficoltà dell'ecografista nel comunicare una diagnosi di malformazione
- Come comunicare una diagnosi negativa
- Comunicare una malformazione: un esempio concreto di counselling
- Conclusioni
- Approfondimenti specialistici
Introduzione
Nella mente di una madre scoppiano intense emozioni che accompagnano le trasformazioni psicofisiche del proprio corpo, attivate anche dagli ormoni che hanno un ruolo importante nel circuito cerebrale materno. Lo psicanalista D. Stern chiama “costellazione materna” il nuovo stato mentale della madre in attesa, dove le priorità della vita si ordinano in un nuovo modo e tutto ruota intorno all’essere madre. E aggiunge che questa nuova organizzazione mentale sembra svilupparsi sia nel corso della gravidanza, sia nel primo anno di vita del bambino (2).
La coppia all'inizio della gravidanza
Durante il secondo trimestre, quando la mamma comincia a sentire i movimenti fetali, allora la presenza del suo bambino diventa reale e concreta. Sono le ecografie a confermarne l’esistenza e a delinearne concretamente l’aspetto misurandone il peso e la lunghezza. Durante gli ultimi tre mesi della gravidanza le immagini tridimensionali svelano a volte persino il viso e le sue espressioni, che lo rendono sempre più simile al piccolo che nascerà: i genitori cominciano così a pensare a un bambino con un’individualità specifica e con caratteristiche ben delineate.
Con la nascita, il bambino della loro mente – quello immaginato per nove mesi e spesso già da molto tempo prima della gravidanza stessa – dovrà lasciare il posto al bambino reale, quello nuovo e quasi sconosciuto che dovranno imparare a conoscere e con il quale dovranno relazionarsi.
La nascita rappresenta quindi per i genitori la prima perdita, quella del bambino immaginario; questo evento rappresenta un profondo cambiamento non solo dal punto di vista dello stato fisico, ma per quello che rappresenta a livello emotivo sia per i genitori che per il bambino stesso.
Prima ancora di questo delicato passaggio, però, la donna e la coppia devono attraversare il momento della diagnosi prenatale, che può essere portatrice di grandi speranze per il futuro del bambino, ma anche di notizie inquietanti sulla sua salute e il suo sviluppo. Lo strumento principale di questa verifica è l’ecografia ostetrica.
L'ecografia ostetrica e la diagnosi prenatale
La comunicazione della diagnosi
In particolare, la comunicazione in diagnosi prenatale:
- è tecnicamente complessa, perché concerne rischi, numeri e statistiche;
- ha a che fare con immagini ed emozioni;
- ha enorme valore per la donna perché riguarda la relazione con il proprio bambino;
- è un momento in cui medico e paziente si incontrano su questioni etiche.
Nello specifico scenario della diagnosi prenatale, quindi, andrebbero applicati quei principi di base della comunicazione incentrata sul paziente, che comprendono:
- una modalità di comunicazione non direttiva;
- la progressiva educazione del paziente;
- la condivisione delle decisioni da prendere (3).
Molte donne pensano invece di essere obbligate ad eseguire gli esami ecografici, non colgono la differenza fra esame di screening ed esame diagnostico, e solo studi condotti in Paesi Scandinavi (pur ribadendo che il 62% delle donne crede l’esame obbligatorio) dimostrano un’elevata soddisfazione per la metodica (4).
La visualizzazione del feto sullo schermo risulta essere l’attrazione più grande per tutte le donne, arrivando a rappresentare la certezza oggettiva della propria gravidanza. Un altro aspetto che le donne giudicano positivamente è la condivisione dell’appuntamento ecografico con il partner o altri componenti della famiglia.
Non di rado, infatti, la donna è accompagnata dal marito o da un altro figlio, desiderosi di “conoscere” il fratellino o la sorellina: è insomma prevalente il connotato sociale e rassicurante della metodica. D’altra parte, è raro oggi incontrare un rifiuto da parte della donna al momento di richiedere un’ecografia in gravidanza: anzi, è più facile dover “contenere” la richiesta di eseguirne di superflue, dato che la tecnica è considerata innocua e ripetibile da una moltitudine di studi in Letteratura.
Gli studi in materia sottolineano inoltre che le donne che si sottopongono a ecografia prenatale sono estremamente sensibili al contesto in cui avviene, ricordano perfettamente le sensazioni fisiche ed emotive provate e preferiscono avere subito tutte le informazioni desumibili dall’esame, anche se incomplete, piuttosto che vivere nell’incertezza (5).
L'ecografista e la comunicazione della diagnosi
- assicurarsi che la donna trovi confortevole l’ambiente;
- parlarle sempre direttamente, stabilendo anche un contatto con gli occhi;
- rispondere con franchezza alle sue domande;
- provvedere a un’immediata interpretazione dei risultati dell’esame;
- essere sensibile ai bisogni non espressi;
- assicurare la presenza di personale di supporto.
Va però considerato che entrare con un atto medico, seppur innocuo o addirittura piacevole come un’ecografia prenatale, nel mondo perfetto che si crea tra madre e feto, rappresenta comunque un’intrusione, un richiamo alla realtà che può (dis)turbare una dimensione prevalentemente di fantasia. Se questa trasformazione del bambino immaginato nel feto reale avviene poi attraverso la presa di coscienza di un problema, piccolo o grande che sia, l’intrusione diventa una violazione con ricadute potenzialmente devastanti su chi riceve le informazioni e, in qualche misura, su chi le da.
La diagnosi inquietante
Quando il bambino presenta un difetto, il conflitto tra bambino immaginario e bambino reale diventa molto forte. Il processo di idealizzazione subisce una brusca interruzione; il bambino immaginario e perfetto, quello che raccoglie i desideri e le proiezioni dei genitori, sparisce improvvisamente e la mamma e il papà subiscono la prima perdita, ancora prima della perdita naturale rappresentata dalla nascita del bambino stesso.
Il ruolo dello psicologo nella diagnosi prenatale
Brazelton, dal canto suo, afferma che «per i genitori il bambino è come uno specchio: il suo difetto riflette le loro manchevolezze», tanto da determinare un’immediata caduta dell’autostima dei genitori stessi (1). Il famoso pediatra sostiene inoltre che coloro che si occupano di questo tipo di genitori devono intervenire preventivamente per aiutarli ad elaborare questo lutto. E’ infatti proprio in questo processo non riconosciuto ed elaborato che vanno ricercate le cause di alcuni disturbi dell’attaccamento.
La funzione dello psicologo, nella struttura di Diagnostica Prenatale, è quindi quella di prevenire i disagi che il piccolo, una volta nato, potrebbe trovarsi ad affrontare nel caso in cui i suoi genitori non riescano a elaborare il lutto relativo alla perdita del bambino sano e quei sentimenti di delusione, rabbia, dispiacere e amarezza che potrebbero compromettere il normale processo di attaccamento.
Tale processo, infatti, potrebbe non riuscire a svilupparsi nei confronti di un figlio “deludente” e potrebbe restare ancorato al bambino ideale e mai nato. I genitori potrebbero rifiutare il nuovo bambino, colpevolizzare i medici, negare la malformazione e i rischi che il bambino corre o, al contrario, potrebbero sviluppare un senso di colpa talmente grave da annullarsi per dedicarsi completamente al figlio.
Creare uno spazio speciale affinché questi genitori possano affrontare ed elaborare il processo di lutto è indispensabile per cercare di assicurare al bambino un processo di attaccamento solido; riconoscere ed elaborare i sentimenti rabbiosi che ogni genitore si trova a vivere in tali momenti può ridurre il rischio che tutto questo venga proiettato sul bambino stesso o che porti a conflitti di coppia, generando sintomi e problemi psicologici per uno o più componenti della famiglia.
Il dolore dei genitori di fronte ad una diagnosi di malformazione
Dati raccolti da Roskies (7), Drotar (8) e Johns (9), evidenziano in particolare che le fantasie riguardanti un difetto visibile sono di gran lunga più spaventose rispetto alla dimensione reale del difetto stesso.
La reazione immediata dei genitori alle parole del medico è prevalentemente di immobilità psichica, come se fossero impossibilitati a pensare. Difficilmente la comunicazione di una malformazione provoca lacrime poiché, nella maggior parte dei casi, i genitori non sanno di cosa si tratti.
Di fronte ad una diagnosi ecografica di malformazione fetale il vissuto riferito dalle pazienti è comunque sempre riconducibile a una reazione di shock e a distanza di tempo, ricordando il momento della diagnosi, i genitori utilizzano sempre frasi come «Il mondo mi è crollato addosso», «E’ stato un grosso colpo», «Il mondo si è fermato», «Non ho capito più niente».
Va infine sottolineato che, qualunque sia la modalità della comunicazione, le parole pronunciate dall’ecografista in quel momento saranno ricordate per tutta la vita dalla paziente.
Le difficoltà dell'ecografista nel comunicare una diagnosi di malformazione
- nel primo trimestre, esista un 5% di anomalie legate al sospetto di un’anomalia cromosomica;
- nel secondo trimestre, la prevalenza di malformazioni maggiori sia tra il 3 e il 5% dei casi;
- nel terzo trimestre, il 5-10% dei feti possano presentare una deviazione dalla normalità legata a una restrizione della crescita o a una variazione di quantità di liquido amniotico, e nel 15% dei casi esista un’anomalia transitoria di non univoca interpretazione.
Ciò fornisce un’idea di quanto insidioso sia il fronte anche dal lato dell’operatore, che non sempre riesce a comunicare immediatamente un quadro definito e preciso della situazione fetale.
Ulteriori difficoltà per l’operatore sono costituite dal fatto che:
- l’ecografia è un esame in tempo reale e il tempo necessario a chiarire la diagnosi spesso è inadeguato;
- non raramente sono presenti i familiari della donna e bisogna tener conto anche delle loro reazioni emotive;
- spesso è la prima volta che l’operatore incontra quella paziente.
Ogni esame dovrebbe essere iniziato avendo di fronte una paziente esaurientemente informata sui limiti e le possibilità della metodica. L’ecografista, in qualità di ostetrico-ginecologo esperto di tale metodica, dovrebbe solo completare tali informazioni: nella pratica, invece, questo non avviene sistematicamente ed è quindi importante ritagliare, prima dell’esame, uno spazio di qualche minuto finalizzato ad istaurare una relazione personale con la donna e la coppia, e a passare le principali informazioni sulla metodica.
E’ altresì importante chiarire che l’esame, nella parte iniziale, necessiterà di grande concentrazione e che le informazioni e la visualizzazione, con la spiegazione delle strutture fetali, si concentreranno al termine dell’esame: ciò eviterà spiacevoli interpretazioni dei silenzi dell’ecografista, spesso segno solo di attenzione e non di mutismo o, peggio, di qualcosa di negativo.
Le informazioni dovrebbero inoltre rispondere sempre a criteri di chiarezza e semplicità: quantità e qualità delle informazioni devono essere ben ponderate, al fine di fornire una prestazione adeguata sia sul piano specialistico, sia per possibili futuri contenziosi medico-legali.
Come comunicare una diagnosi negativa
- utilizzare un luogo riservato;
- sedersi accanto al paziente e ai suoi familiari;
- capire quale sia il livello di cultura generale e scientifica del paziente, e quanto conosca a proposito della malattia;
- chiedere che cosa sia già stato spiegato;
- capire il grado di dettaglio informativo che il paziente desidera;
- offrire indicazioni chiare e semplici sulla natura della patologia e le opzioni terapeutiche;
- capire le reazioni e i sentimenti, prendendosi cura del paziente;
- programmare l’iter degli eventi futuri.
Comunicare una malformazione: un esempio concreto di counselling
Le informazioni sono fornite nel modo più chiaro e semplice possibile, compatibilmente con la definizione completa del quadro ecografico, non sempre attuabile in un unico esame. In base alla complessità della situazione, si richiedono ulteriori accertamenti diagnostici – per esempio, l’esame del cariotipo fetale, test genetici, consulenze specialistiche pediatriche – al fine di chiarire ai futuri genitori le implicazioni del reperto fetale scoperto, nella vita extrauterina futura.
Gli eventi successivi dipendono dalle scelte della coppia; nel caso di una malformazione fetale suscettibile di correzione chirurgica post-natale, ad esempio, si fornisce un supporto multidisciplinare da parte di una équipe formata, oltre che dall’ecografista ostetrico e dallo psicologo, anche dal neonatologo e dal chirurgo pediatra. Il team così formato funziona anche da “contenitore” delle emozioni in gioco, fornendo il sostegno umano e psicologico necessario.
La prassi operativa prevede la stesura di un piano di cura, con un calendario delle successive consulenze e degli esami ecografici seriati per il controllo dell’evoluzione della malformazione (il che permette anche una maggior conoscenza della storia naturale di alcune malformazioni). La descrizione del piano di cura, oltre ad essere fatta con termini semplici, si avvale di disegni e fotografie di bambini operati per aiutare la coppia a conoscere l’organo interno da riparare chirurgicamente o per mostrare l’esito di interventi esterni, come nel caso della labiopalatoschisi.
La psicologa propone inoltre una visita ai reparti di Terapia Intensiva Neonatale e di Chirurgia Pediatrica, per conoscere i luoghi dove il bambino sarà seguito e curato dopo la nascita. Un ulteriore aiuto fornito alla coppia è l’organizzazione di incontri con altri genitori che abbiano seguito lo stesso iter terapeutico.
Riteniamo che attraverso tale approccio si sviluppi adeguatamente la nostra funzione di “counselling”, che non si traduce semplicisticamente con “consiglio”, ma indica un’attività di supporto e orientamento (in latino “consulere” significa “venire in aiuto”).
Conclusioni
L’offerta di consulenza dovrebbe essere fornita in tempi brevi, anche per evitare inconsulte ricerche via Internet, spesso generiche e confondenti.
Il rapporto con la coppia deve essere sempre diretto, la consulenza psicologica fornita sin dal momento della diagnosi, e la programmazione della cura continua nel tempo.
Sarebbe auspicabile una sempre maggiore informazione preliminare all’esame, anche attraverso opuscoli informativi in varie lingue, riguardo alle indicazioni, alle possibilità e ai limiti dell’ecografia ostetrica.
Ogni centro ecografico dovrebbe poter fornire il contatto con mediatori culturali, per il crescente aumento delle popolazioni migranti.
Infine, è preziosa la collaborazione con associazioni di genitori di bambini nati con malformazioni, per favorire un confronto con chi ha superato le tappe proposte e offrire un prezioso contributo su come affrontare, in modo costruttivo e positivo, le diverse difficoltà che una diagnosi di malformazione comporta.
Approfondimenti specialistici
2) Stern DN. La costellazione materna. Bollati Boringhieri Editore, 1995
3) Garcia J. Women’s views of pregnancy ultrasound: a systematic review. Birth 2002 29; (4): 225-250
4) Eurenius K. Perception of information, expectations and experiences among women and their partners attending a second trimester routine ultrasound scan. Ultrasound Obstet Gynecol 1997; 9: 86-90
5) Van der Zaim JE. Seing baby-women’s experience of prenatal ultrasound examination and unexpected fetal diagnosis. Journal of Perinatology 2006 26: 403-408
6) Freud S. Totem e tabù ed altri scritti (1912-1914). Bollati Boringhieri Editore, 1975
7) Roskies E. Abnormalities and normalities: the mothering of thalidomide children. Cornell University Press, New York 1972
8) Drotar D, Baskiewicz A, Irvin N, Kennell J, Klaus M. The adaptation of parents to the birth of an infant with a congenital malformation: a hypothetical model. Pediatrics. 1975 Nov; 56 (5): 710-7
9) Johns N. Family reactions to the birth of a child with a congenital abnormality. Med J Aust. 1971 Jan 30; 1 (5): 277-82
10) Buckman R, Baile W. Truth telling: yes, but how? J Clin Oncol. 2007 Jul 20; 25 (21): 3181; author reply 3181