Guida alla lettura
A questa filosofia aderisce pienamente Gabriella Baldari, vincitrice con altri autori della prima edizione del concorso letterario “Fiabe in alto mare”, organizzato da Sestante Edizioni e sfociato nella pubblicazione del volume “Fiabe sottosopra”: una raccolta che, secondo le parole dell’editore, vuole «raccontare nuove storie e mettere sottosopra vecchie idee. Ma soprattutto aiutare chi legge a vederci chiaro, e scoprire che tutti hanno paure e disavventure, ma possono sempre imparare a cavarsela».
La vicenda del simpatico lenzuolino nero insegna a tutti noi ciò che l’Autrice ha imparato attraverso l’esperienza della malattia: tutti prima o poi abbiamo paura, nel corso della nostra vita, e non solo i bambini. Ma affrontando la paura si può scoprire che il pericolo spesso non sta al di fuori di noi, ma dentro al nostro cuore, e che quel continuo timore di esporci, apparentemente così invincibile, altro non esprime che le parti più fragili di noi stessi. E’ questo, ci pare, il senso della frase cruciale che il lenzuolino – simbolo sì della paura, ma dolce e a propria volta pauroso – a un certo punto rivolge alla piccola Gaia: «E’ per questo che ti trattengo e non ti lascio giocare con gli altri bambini. Sono così piccolo e tenero, che mi strapperebbero tutto!».
In questo incontro sorprendente con le nostre paure, e nello scoprire che esse minano innanzitutto le buone relazioni, possiamo diventare più forti e coraggiosi: e anche più empatici e comprensivi perché, riconoscendo e assumendo la nostra fragilità, impariamo ad accettare quella degli altri.
Ogni pomeriggio, Gaia andava al parco con la mamma. Lì, i bambini giocavano sul prato verde e tutti ridevano, litigavano e schiamazzavano correndo dietro alla palla. Gaia no. Gaia restava immobile a guardarli. Lei non poteva giocare.
«Stai ferma! Non ti muovere! Non fidarti degli altri bambini!», le diceva la sua Paura, e la teneva bloccata lì.
La mamma insisteva: «Dai, Gaia, vai a giocare con gli altri bimbi! E’ divertente!».
«Ma come? – pensava Gaia – Davvero la mamma non vede la Paura che mi imprigiona?».
Nello stesso momento Bouakè, che si trovava alla piscina comunale del suo paese, stava correndo velocissimo dalla sua mamma: «Mamma, mamma! Sono scappato via come una freccia! – strillava- Perché nella vasca c’erano gli altri bambini!… E io sono timido…».
«Ma no! Tu non sei timido! – rispondeva la mamma – E gli altri bambini, sono bambini come te!».
“No, no… Sono bambini di altri colori! E io sono marroncino!… E sono timido», insisteva Bouakè.
Infatti, lui, che era nato in Africa, aveva la pelle scura, perfetta per proteggersi dal sole caldo del suo paese. Ma in Italia? Il colore della sua pelle sembrava proprio strano… e lo faceva sentire diverso. Eppure, Bouakè rideva come gli altri, piangeva come gli altri, si arrabbiava come gli altri, mangiava e dormiva proprio come tutti gli altri bambini. Anche lui, come Gaia, non poteva giocare, perché la sua Paura lo teneva stretto e fermo, e gli diceva: «Attento, non fidarti degli altri bambini! Non avvicinarti a loro! Pericolo!».
Così, tutti i giorni Gaia e Bouakè restavano soli soli, con la loro Paura, a guardare gli altri giocare. Finché un giorno… la mamma disse a Gaia: «Devo andare a comprare il pane, ti lascio cinque minuti da sola in casa. Fai la brava, eh? Io torno subito!».
Uscita la mamma, le stanze della casa sembravano così grandi e così vuote, e producevano fruscii e scricchiolii tanto spaventosi, che la bimba corse di filato a nascondersi dietro un vecchio mobile a cassetti, con sopra un grande specchio. Gaia non fece neanche in tempo ad acquattarsi, che sentì qualcosa… di liscio… che scivolava lungo le sue spalle…
«Ahhhhhh!» urlò Gaia, schizzando in avanti.
«Ahhhhhh!» urlò qualcuno dietro di lei, saltando via.
«Chi seiiiii? Vattene via!» strillò Gaia.
«Vai via tuuuu! N-non farmi male!… Io… Io sono la tua Paura!» strillò l’altro.
«Cooome? T-tu… sei la mia Paura? – chiese Gaia, battendo ancora i denti per lo spavento – Ma sei… solo un lenzuolino tutto nero, di seta, con due occhioni dolci… E sei così piccolo! E così morbidino! Io credevo che la Paura fosse grande e forte… come la sento, quando mi blocca!».
«No, no… sono tutto qui – rispose il lenzuolino, abbassando timidamente lo sguardo – E’ per questo che ti trattengo e non ti lascio giocare con gli altri bambini. Sono così piccolo e tenero, che mi strapperebbero tutto!».
«Oh, poverino! Allora è per questo che vuoi sempre stare da solo! – esclamò Gaia – ed è per questo che tieni da sola anche me! Vieni, d’ora in poi ti proteggerò io. Non avere più paura!».
«Ma… io SONO la paura!» protestò il lenzuolino.
“Ah, già è vero! disse Gaia. E scoppiarono a ridere tutti e due insieme!
Sì, perché certe volte, la Paura è così sciocca, che fa proprio ridere!
In quello stesso momento, a casa sua, Bouakè era terrorizzato. Un dinosauro, che aveva visto alla TV, doveva essersi nascosto in camera sua! Ne era sicurissimo! Così Bouakè si infilò di corsa sotto al letto, per proteggersi. E proprio lì sotto… guarda un po’… trovò nascosto… un lenzuolino tutto nero, dai grandi occhioni timidi…
«Ahhhhhh! Chi seiiiii?» strillò Bouakè.
«Ahhhhhh! Che spavento!» gridò il suo lenzuolino della Paura.
Ma già dopo pochi minuti avevano fatto amicizia.
«Io… io non sono come i lenzuoli bianchi… quelli grandi, dei fantasmi… – aveva detto timidamente il lenzuolino – Io sono piccino, sono nero, ed ho sempre paura».
«Ma… allora sei proprio come me!» aveva esclamato Bouakè. Poi, anche lui come Gaia, aveva rassicurato il suo lenzuolino spaventato, dicendo: «Vieni con me! Ti difendo io, dagli altri bambini! Non stare più da solo!».
Così, il primo giorno di scuola, Gaia e Bouakè entrarono in classe portando con sé, sottobraccio, il proprio lenzuolino nero. E… meraviglia! Si accorsero che, man mano che arrivavano… tutti i bambini portavano con sé il proprio lenzuolino della Paura! Per ogni bambino c’era un lenzuolino!
Che bella festa vedere tutti insieme bambini, bambine e lenzuolini, incontrarsi, abbracciarsi, ridere e giocare felici! E pensare, che per tanto, tantissimo tempo, ognuno di loro era rimasto solo solo, credendo di essere l’unico ad avere paura! Che ridere!